Il Medioevo: la felicità promessa.
La possibilità della felicità antica si trasforma in una promessa e in una speranza nel millennio medioevale. L’uomo medioevale riconosce come naturale il desiderio dell’uomo per la felicità e in accordo con l’antica filosofia greco romana, ritiene che essa possa essere raggiunta attraverso la ricerca della sapienza immortale e il possesso del bene sommo.
La felicità rimane un possesso che appaga un desiderio ma, perché sia autentica, occorre adesso che il bene voluto sia veramente tale: è necessario, quindi, conoscere e determinare quale sia il vero bene. E questo vero e sommo Bene, altro non è se non Dio. L’uomo raggiungerà il bene conoscendo ed imitando Dio.
Il medioevo e i suoi uomini pensano e raccontano, quindi, una felicità certamente possibile ma che non è di questo mondo, troppo umano e terreno, soggetto al divenire e al peccato perché gli uomini possano essere davvero felici. Solo ciò che può essere posseduto eternamente può garantire all’uomo un’esistenza felice: solo ciò che non è umano e, quindi, mortale ma oltrepassa la morte, possiede la caratteristica essenziale della vita felice: una vita che non può perdere se stessa ma anzi ritrovarsi nella luce e nel principio di ogni cosa.
Una felicità che sarà tale solo nell’ultra terreno, nel mondo ultra mondano: solo lì si potrà attualizzare la vita felice tanto desiderata da ogni uomo, quando ogni uomo si ricongiungerà con Dio, principio e fine, senso primo e significato ultimo dell’esistere umano.
Agostino d’Ippona: la felicità è VITA BEATA, la vita beata è GODIMENTO DELLA VERITA’, è il POSSESSO ETERNO DEL BENE SOMMO.
Boezio: la felicità dell’uomo risiede in un bene che niente e nessuno potrebbe strappargli: la certezza che il mondo è governato da una provvidenza universale.
“Perché dunque, o mortali, cercate all’esterno la felicità che è posta dentro di voi? Vi lasciate irretire dall’errore e dall’ignoranza.”
La suprema felicità non consiste nel possesso delle cose che stanno fuori di noi, ma nella padronanza assoluta di noi stessi.
Tommaso d’Aquino: la felicità umana poggia solo su Dio, perchè solo Dio, essendo il bene, può soddisfare completamente il desiderio umano di felicità: la volontà umana tende necessariamente al bene massimo. La felicità è contemplazione di Dio, che sfocia nell’amore e nella gioia. In questa vita è raggiungibile solo un certo grado di felicità, maggiore se la condotta virtuosa è accompagnata anche da beni esterni, dalla salute e da amici. La felicità piena, però, è raggiungibile soltanto nella vita eterna e in tal caso dipenderà dalla grazia di Dio.
L’uomo medioevale è immagine di Dio-Trinità, che si scopre tale attraverso un processo conoscitivo che avviene in interiore homine perché è qui che dimora la Verità; un cammino che renderà l’uomo veramente felice perché lo porterà in possesso di quello che è il vero bene; un cammino di ricerca intrapreso per amore. E la filosofia si adopera a conferma e a dimostrazione razionale che Dio esista.
Gli uomini del Medioevo alzano la posta: in gioco non vi è più la possibilità di una vita felice ma la possibilità di una vita eternamente beata.
In questa vita mortale, l’uomo ha da compiere la sua scelta: comportarsi virtuosamente partecipando all’eternità o agire viziosamente destinandosi alla morte eterna.
Il medioevo e i suoi uomini pensano e raccontano, quindi, una felicità certamente possibile ma che non è di questo mondo, troppo umano e terreno, soggetto al divenire e al peccato perché gli uomini possano essere davvero felici. Solo ciò che può essere posseduto 🙂